Dopo 13 anni di giovanili alla Juventus, negli scorsi mesi si è diplomato in Adise, ma lavora ormai da quattro stagioni alla costruzione di prime squadre. Ha iniziato al Chieri, quando la carta d'identità era quella di un ventunenne. E' passato da Lamezia e ne aveva 23. Mazzamauro, patron del nuovo Giugliano, ha scelto lui per costruire una squadra da Lega Pro. E i primi risultati sono stati parecchio incoraggianti, come racconta a IlBianconero.com.
Dunque, Giannarelli: la sua è stata una traiettoria insolita.
Sembra lunga! E dire che non sono passati mica 40 anni, eppure mi sento diverso. Un po' per l'esperienza, un po' anche personalmente ed emotivamente, mi rendo conto come sia cambiato molto. Ero ancora più pischello all'inizio: avevo vissuto 13 anni di Juventus consecutivi. Quel tipo di percorso ti lascia tantissimo, ti forma in maniera esemplare. Li ringrazierò per sempre.
Cosa non è andato nella sua carriera da calciatore?
Alla Juve sei fin troppo ovattato, in tutto. Se non hai la fortuna e la capacità di rimanere al livello, ti rendi conto poi che il calcio vero è un'altra roba.
Del tipo?
Sono riuscito a concatenare due fallimenti di società. Al Barletta e al Tuttocuoio: è stato destabilizzante. Ho trovato compagni in lacrime, giocatori che avevano calcato i campi di Serie A, perché non ricevevano gli stipendi. Sono rimasto scottato. Per questo ho aperto una piccola attività, decidendo di mollare. Poi la chiamata di Gandini, presidente del Chieri. Ho iniziato seguendo il settore giovanile.
E quali sono stati i primi passi verso la scalata?
Chieri è una meravigliosa realtà familiare, lì ho avuto la possibilità di scalare qualche gerarchia. Ho lavorato di fianco al mister Manzo e ho avuto una squadra da costruire a 21 anni. Ringrazierò per sempre il presidente Gandini: ha avuto le palle di farlo. Sono rimasto lì per due anni, valorizzando il tesoro del Chieri: il settore giovanile. Poi, Lamezia...
Lamezia e Giugliano, sì. Piazze calde. Ma dove nasce quest'ultima favola?
Ho trovato una squadra con ambizioni molto alte e sono stato fortunato nel trovare persone molto serie e perbene - e non è così scontato. Mi sto trovando bene perché la proprietà ha voglia di fare qualcosa d'importante. Qui abbiamo tutto: tifoseria, piazza, stadio.
Un passo indietro. Cosa le ha lasciato il periodo alla Juventus?
Ho giocato con ragazzi molto bravi. Buona parte della leva 1995-1997, come Romagna e Vitale, ragazzi che poi hanno fatto una gran bella carriera. Penso a Coman, con cui ho condiviso lo spogliatoio per tre settimane. Si vedeva la differenza da come percorreva la scaletta, senza pallone. Però la Juve aveva un altro ragazzo molto forte. Forse di più.
Chi?
Donis! Rispetto a Kingsley era meno impostato, un ragazzetto un po' così. Ma era un giocatore veramente incredibile. Attaccante esterno, tiro, dribbling, forte fisicamente. Un gran talento. Kean invece l'ho visto poco: era troppo giovane, solo qualche allenamento nell'ultimo periodo con la mia Primavera...
E Audero? Può essere da Juve?
Ecco, Emil lo vedevi subito. Perfettamente inquadrato. Un ragazzo meraviglioso, sin da bambino. Struttura e grandi qualità. Forse non è mai stato un portiere da parata super: ma è uno da sei e mezzo, faceva la sua figura in una squadra che subiva comunque poco. Se è da Juve? Perché no? Nel parco portieri, intendo. Sarebbe bello rivedere in prima squadra ragazzi che sono proprio di lì.
Tornando anche a chi non ce l'ha fatta: è questo il senso delle seconde squadre? Preservare i giovani?
Per me è una grande cosa dal punto di vista logico-concettuale. Come fa la Juventus, almeno. Se hai la disponibilità, puoi portare un certo tipo di lavoro, formare i ragazzi, tramandare una tradizione. E' un esperimento validissimo e lo dimostrano le grandi nazioni del calcio. Da Primavera a calcio professionistico il gap è impossibile: ti permette un passaggio non scontato.
Eppure una Juventus Under 23 - o chi per essa - non finisce per togliere spazio a realtà provinciali, proprio come il suo Giugliano?
Dipende tutto dalle riforme che arriveranno. Immagino si arrivi a sfoltire i campionati, che come logica non è male. Se si lasciano le seconde squadre così come altre parti, cioè ai top team, in una logica di Serie C con 5-6 seconde squadre non vedo cosa possa esserci di male. Parliamo di un campionato oggi con 60 squadre...
Il suo obiettivo, un giorno, è tornare a Torino?
Non lo so. Sono abituato a stare fuori da quando avevo 16 anni, vivo ormai da nomade. Spero questo, però: di continuare ad essere circondato da persone di questo tipo, di avere sempre una proprietà del genere, perché è una fortuna. Di continuare a salire piano piano, mantenendo lo stesso ambiente.
Un colpo che consiglierebbe a Cherubini?
Mi ricordo di un giocatore sotto età, visto qualche anno fa in una partita della categoria Primavera tra Torino e Fiorentina. Segnò al Filadelfia, davanti a tanti tifosi, con un cucchiaio di assoluta personalità. Sì, era Dusan Vlahovic.
Proprio Cherubini è partito dalla Serie D...
Al Foligno, sì...
Ma è così difficile la scalata?
Il calcio è la terza azienda dello Stato. Un modo seguitissimo, il più seguito, e pure il più invidiato: vogliono entrarci tutti, ma proprio tutti. Negli ultimi anni ho visto ragazzi nuovi, ma anche tanti vecchi direttori ancora al loro posto: non riesco a capire dove sia la fascia di mezzo, e in questo assomiglia tanto alla situazione politica del nostro Paese. Ringrazierò sempre Stefano Braghin e Gabriele Martino per l'occasione e l'aiuto che mi hanno dato. Ogni giorno cerco di imparare dall'esempio di tutti, e in particolare da chi ha ispirato il mio percorso.