Andrea Agnelli con la sua Juve sempre più organizzata, sempre più forte, sempre più ricca di denaro (anche grazie allo Stadium) e di fuoriclasse (Ronaldo su tutti), ha annichilito il resto delle nostre società, che si sono pian piano smarrite perdendosi a decine di punti di distacco dai bianconeri. Così, pensando (com’è giusto che sia, ovviamente) a costruire una squadra migliore ogni anno, il presidente bianconero ha tolto competitività al nostro campionato, troppo spesso già deciso a molte giornate dalla fine. Senza lotta, senza pathos, addirittura senza polemiche. Se ci pensate, sono solo due gli scudetti di questa Juve che hanno lasciato uno strascico di adrenalina: il primo, strappato al Milan anche con il famoso gol di Muntari, e il penultimo, tolto al Napoli con quella rimonta a San Siro contro l’Inter che spesso torna ancora di attualità.
Da amanti del calcio e non di una squadra, rimpiangiamo le stagioni in cui c’erano sei o sette formazioni che potevano vincere lo scudetto, e una volta se lo prendeva una e una volta l’altra all’ultima curva. Ancora oggi ricordiamo e celebriamo, magari qualcuno con rabbia, la pioggia di Perugia (2000), il gol di Nakata (2001), il 5 maggio (2002). Quel calcio ha lasciato ai posteri momenti indimenticabili perché le grandi squadre erano tante e l’equilibrio regnava. Oggi non è più così e occorre una Lazio miracolosa per dare un po’ di interesse alla lotta per lo scudetto.
L’incubo di Andrea Agnelli, come di tutti i tifosi bianconeri, è la Champions. E non sappiamo se, come dice Capello, la Juve abbia pagato in Europa la scarsa competitività della serie A. Non sappiamo, insomma, se abbia sofferto all’estero proprio questa superiorità che si è costruita in Italia. Ma si tratta naturalmente di un paradosso, di una colpa inconsapevole.
@steagresti