I continui appelli del presidente Sergio Mattarella, del quale sentiremo la mancanza al pari di quella provata per Sandro Pertini, insieme con le mirabolanti imprese degli atleti azzurri hanno fatto il resto. Tutto ciò ci fa onore salvo insopportabili rigurgiti separatisti che ancora disturbano come, in primis, l’imbecille movimento no vax.
Un gruppo, sparuto ma vociante e volgare, del quale fanno parte gli ultras della Roma e della Lazio i quali insistono minacciando contestazioni assortite nel ricusare la scelta fatta dal presidente della Federazioni Gravina il quale ha pubblicamente annunciato che la volontà del movimento calcistico italiano è quella di intitolare lo stadio Olimpico della capitale a Paolo Rossi. Il battesimo ufficiale dovrebbe avvenire in tempi brevi e comunque prima dell’estate quando saranno già ben avviate le celebrazioni per quarantennale del trionfo dell’Italia ai Mondiale di Spagna di cui Pablito fu l’artefice massimo. I rappresentanti delle due curve si oppongono adducendo come ridicolo pretesto il fatto che Paolo Rossi nulla ha da condividere con la romanità calcistica.
Federica Cappelletti, moglie del campione scomparso e prima custode della sua memoria, ha giustamente perso la pazienza ed ha voluto postare con grande educazione ma con altrettanto vigore un appello ai negazionisti di quello che è un atto dovuto verso un uomo il quale, per il mondo intero, non rappresenta la ”romanità” ma l’intero movimento sportivo italiano. Non soltanto per le reti segnate in quel Mondiale, ma soprattutto per la sua caratura morale ed umana. Pablito è un patrimonio prezioso per il nostro Paese e il fatto che il suo nome, invece di quello di una multinazionale delle assicurazioni, defìnisca la ”vita” dello stadio della nostra capitale è davvero il minimo che possa accadere.