Edoardo Agnelli, padre (tra gli altri, visto che ebbe sette figli) di Gianni e Umberto, acquistò la Juve nel 1923 trasformandola in fretta nella squadra più forte d’Italia. Quando morì falciato dall’elica del suo idrovolante, nell’estate del ’35, i bianconeri avevano appena vinto il quinto scudetto di fila: era la squadra entrata nella leggenda come “la Juve del quinquennio”. Il club rimase di proprietà della famiglia e Gianni ne assunse la presidenza non appena ebbe conoscenze sufficienti, a 26 anni. Più tardi, nel ’55, alla guida della società arrivò Umberto, che era davvero un ragazzino, solo ventenne. Fu l’ultimo Agnelli presidente della Juve prima del figlio Andrea. Gli Agnelli, come detto, sono la Juve da quasi un secolo: un unicum nel calcio mondiale. E la Juve è la società più vincente in Italia. Per questo riteniamo il suo tradimento più grave rispetto a quello di Zhang e Singer, uomini d’affari piovuti nel nostro campionato quasi per caso, i quali pensano esclusivamente ai loro interessi. Sia chiaro, nessuno pretende che Agnelli non guardi alle proprie tasche, come i presidenti mecenati di un tempo: sarebbe anacronistico e anche ingiusto. Ci aspettavamo però che avesse maggiore rispetto della Serie A, proprio per quello che ha rappresentato per la sua famiglia. Si può guardare al futuro anche senza calpestare il passato.
@steagresti