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La domanda sorge spontanea: perché a Maurizio Sarri viene consegnato il premio come miglior allenatore al Galà del calcio, se la sua squadra giunge terza in campionato? Per la verità non c'è da stupirsi: è già accaduto che giungendo terzi si sia vinto lo scudetto. Quindi in questo Paese, nel quale vale tutto tranne il merito, non sempre i primi hanno ragione; soprattutto mai e poi mai sono esempi da emulare. E' l'Italia che va.

Detto questo, ci deve essere una spiegazione che non attinga all'umore del momento ed abbia  radice diversa dall'emotività. Forse la simpatia del soggetto? Beh, Sarri è simpatico come la sberla rifilata da De Rossi a Lapadula in quel di Marassi domenica scorsa, dunque...
Prendo come riferimento il rivale di questi anni, Massimiliano Allegri, colui che incarna attualmente, con buona pace dei detrattori, lo stile e l'immagine della Juventus, secondo l'accezione tradizionale dei termini.
Il livornese viene dai campi di serie A e B in veste di centrocampista di sostanza e di fosforo; l'apolide (nato a Napoli, cresciuto a Bergamo, residente vicino ad Arezzo) viene da un buon posto in banca, ancora ai tempi di impiegati impeccabili in giacca e cravatta.

Che il peculiare abbigliamento bancario abbia fatto nascere l'idiosincrasia per la “divisa di ordinanza” non è dato sapere, ma risulterebbe un bel quesito per uno psicologo di scuola freudiana. Sta di fatto che, al perfetto aplomb juventino di Allegri, durante le gare, nella mixt zone ed in pubblico, Sarri contrappone la tuta da lavoro. Ci andasse pure a letto? Sempre in azzurro, in campionato, in Champions League (unico tra tanti allenatori ben più quotati di lui), davanti ai microfoni. Viene più spontaneo indirizzare epiteti omofobi ai colleghi, così agghindato. La tuta fa popolare, anzi popolano. La barba incolta dà un tocco di trasandato, vittima del sistema, merce che si vende da sola nei bar di periferia.

Allegri si produce in dichiarazioni che tendono a rimarcare meriti e demeriti della Juve, parandosi dalle insidie di quei cattivoni di giornalisti, con il “juventinese”, duro da decriptare o forse no. Il “Maurizio 'a papà” si inerpica su per le metafore più stravaganti, dalle penombre ai mezzogiorni e mezzi, dagli orari bislacchi alle troppe partite, dagli avversari che non fanno le coppe ai fatturati che segnano le reti. Eppure lo scorso anno il Napoli non faceva le coppe e la Roma pure, uscite in un amen,  ma sono arrivate dietro una Juventus finalista di Champions, tanto per dire.

Stile Napoli? Non ne sono sicuro. Mi ricordo di Ottavio Bianchi, un Massimiliano Allegri ante litteram, di una cordialità all'ennesima potenza. Benitez era ed è un signore, Mazzarri esagitato, ma con stile. 

Sarri è Sarri. Un antidivo, uno del popolo che ce l'ha fatta. Uno che si contrappone al potere, un  alternativo con un ingaggio superiore al milione di euro. Tutto molto italiano o italiota, fate voi. Sufficiente per assurgere a paladino dell'antijuventinità, scuola di pensiero che va per la maggiore soprattutto tra gli addetti ai lavori che sono ridotti a larve umane, dopo 6 anni di scoppole. 

Ora mi è chiaro il motivo del premio a questo allenatore dalle sembianze del buttero, non privo di genialate. E' un premio “contro” la Juventus, con il sacrosanto augurio alla fine del dominio bianconero, prendendo l'abbrivio dal gioco, il bel gioco, osannato e venduto pure questo negli stessi bar di cui sopra. Sarri, miglior terzo della storia del pallone. O quest'anno è l'anno buono o prepariamoci a frasi storiche, sproloquiate a quattro palmenti.

Soltanto sfogliando gli albi d'oro, sgorgherà la risposta al questito che attanaglia: l'ex tecnico dell'Empoli è davvero un guru della panchina o solo una simpatica canaglia, con la licenza di vivere con “il scàrp de tennis” per dirla alla Jannacci, avvezzo a ridurre la montagna degli schemi a “palla a Insigne e cross sull'altro palo per Callejon”?