In autunno s’è presa coscienza e a gennaio è iniziata la cura massiccia. Iniziata. Perché la magica combinazione di due gol da parte di due neoacquisti è uno di quei bizzarri giochi del fato, che ogni tifoso sogna, ma non deve illudere più di tanto. Anche il fatto di avere vinto contro una recente “bestia nera” come l’Hellas è importante, però il bicchiere è ancora mezzo vuoto. Morata e Dybala, grazie a Vlahovic hanno corso meglio così finalmente si sono aperti quegli spazi, che sono l’essenza del calcio. Ma dietro la manovra è rimasta faticosa, l’impostazione lenta, farraginosa, le palle buttate via ancora troppe per la paura di essere infilati dalle ripartenze avversarie. La Juve non sa ancora uscire con quel tanto di sicurezza e naturalezza che buona parte parte delle squadre hanno.
Si fantastica su terzini sinistri, sul ritorno di Pogba proprio per trovare il bandolo della matassa perduto anni fa e così impietosamente ingarbugliatosi l’hanno scorso con decine di palle perse nella propria metà campo, con palloni indietro regalati agli avversari. Rinforzare il centrocampo, grazie a giocatori che sanno smarcarsi e non aspettano il passaggio orizzontale per ripassarla al portiere, questa la medicina. Il mezzo rugby juventino (andare avanti passandola indietro) non ha mai funzionato, non pensiamo che possa funzionare proprio adesso. Il fatto che il modulo ad albero di Natale abbia permesso ai tre in attacco di muoversi meglio e che Zakaria sembri aggiungere peso nelle due fasi, comunque, non basta. Nella parte vicino alla propria area la squadra fa ancora troppa fatica a impostare e a eludere il pressing.
Una bella prestazione, quindi, non fa primavera e non è il caso che l’entusiasmo diventi esaltazione: i presupposti rappresentano, ragionevolmente, una possibilità, non un fatto compiuto.