Ci risiamo! Verrebbe da dire: sembra quasi che i giocatori di classe, quelli capace d’inventare, ma meno inclini alla consegna militare, siano destinati a soffrire. Sono giocatori “fondamentali”, però “atipici” che creano sempre qualche problema. Sbalestrano, squilibrano, seminano “disordine”. Se lo dice uno come Sarri, figuriamoci. E, d’altra parte, l’amletico dilemma talento o non talento nel calcio italiano non è nuovo.
Vi ricorderete certamente Rivera, che, in Nazionale, era spesso tenuto ai margini o costretto a subentrare a Mazzola. E d’altra parte, Nereo Rocco, fotografava magistralmente il problema nella sua folgorante sintesi tattica: “De drio gente che randella, più avanti solo corridori e un genio in mezzo al campo. Poi un mona che la butta dentro.” Anche a Brera Rivera non andava giù: lo chiamava “abatino”. Il Milan era costruito intorno a lui, ma la Nazionale no. Ancellotti non volle Baggio al Parma perché non sapeva come farlo giocare, Ulivieri al Bologna idem: quel genio rapsodico e danzante, all’improvviso, diventava un ingombro. Sacchi, a un certo punto, pensò di far giocare Signori mediano, in Nazionale.
E’un po’ quello che sta succedendo a Dybala, il giocatore più talentuoso del nostro campionato, ma anche il più atipico, che centravanti non è, mezza punta forse, però è soprattutto un “senza ruolo, avanzato” con diritto a una certa libertà per esprimersi al meglio. Un po’ come il suo progenitore Sivori, che svariava, cambiava i tempi, spostava mezza squadra avversaria, galleggiava, ricamava e poi s’infilava dentro. L’Avvocato pur di garantire a Sivori una libertà assoluta sarebbe arrivato a costruirgli intorno una squadra di rematori incatenati. Poi, quando l’astro argentino stava declinando, arrivò il sergente di ferro Herrera (Heriberto) tutto corsa e caserma. Ma, come svela l’etimologia, il talento è un “dono divino”: nella parabola evangelica i talenti, le monete, affidate dal signore ai suoi servi sono simbolo dei doni dati da Dio all’uomo. Ora, anche la parabola di Dybala ripropone una sempiterna morale: non è detto che si sappia fare sempre un buon uso dei doni ricevuti.