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L'estate ha questa funzione qui: è un tempo speciale, e solo perché ti rendi conto che passa. Che ha una fine, che è un racconto con una data di scadenza. Per Paulo Dybala, la sensazione è che sia durata anni. Dopo aver fermato la clessidra alla Juventus, nei giorni dell'incertezza l'argentino ha sentito di tutto. E ha percepito ogni parola, vivendola in maniera intensa, così com'è sempre stato abituato a fare. Del resto, vivere di giocate vuol dire vivere di sentimenti, alzarsi sulle ali dell'entusiasmo, cadere a terra quando il morale fa a gara a chi sfida la gravità coi tacchetti delle scarpe. Vuol dire anche amplificare ogni elemento, a partire dalle scelte fatte e soprattutto da quelle subite. 

IL NUOVO ARRIVO - Il bagaglio di partenza era pesante, e il carico è aumentato già nella giornata di ieri. Una folla, pur piccola, ma pur sempre significativa, ad attenderlo e ad aumentare i decibel al suo arrivo in città. Torino era esattamente come l'aveva lasciata: col sole, e con le incertezze su questa nuova Juve. Il ritiro ha sfiorato le abitudini dei monaci di clausura: nessuno l'ha visto dentro o nei pressi, eppure qualche amico è passato a sorridergli, riportandogli un po' di passato e certa nostalgia. La temeva, l'accoglienza allo Stadium. E un po' si percepiva anche dal post social, pubblicato nella giornata di ieri: era politicamente perfetta e incastrata in una campagna elettorale che con il Paese ha poco a che vedere, sebbene colpisca qualche sfumatura. I primi dubbi sono stati dissipati all'arrivo allo Stadium: applausi, cori, occhi quasi lucidi. E' sembrato tutto naturale, un finale più che una fine

LA PARTITA - Poi Paulo è stato Paulo. Quest'ultimo Paulo, ecco. Perché di Dybala aveva soltanto il passo, ma non più la continuità. La Roma l'ha sfangata anche grazie a un suo guizzo, Alex Sandro l'ha scordato sul palo lungo e lui si è coordinato in un fazzoletto, trovando Abraham in semi-rovesciata. E' sembrata la vendetta giusta, non quella perfetta. A nessuno è venuto in mente 'se ci fosse stato lui'. Nessuno avrebbe fatto comunque a cambio con Kostic, o Di Maria, o (ancor meno) Vlahovic, di fatto l'uomo che l'ha estromesso dal progetto. Il pari, se vogliamo, è indicativo e un po' poetico: lascia i giudizi a metà, facendo fluire soltanto l'affetto, testimoniato dagli abbracci finali e da quel pizzico ancora fortissimo d'emozione. Non è stata rivincita, né Paulo l'ha davvero cercata.