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Il Campionato della Juventus è finito troppo presto, segno evidente d’una certa rilassatezza “dei costumi”. Non si dovrebbe lottare “fino alla fine” come recita uno slogan un po’ troppo sfilacciato? Quello nuovo, “Guardare avanti”, non attecchisce. Provarci fino in fondo per dignità, per i tifosi, per spirito sportivo?

E invece no. Ottenuto il quarto posto, hanno scelto di andare in vacanza, sfortunata prestazione di finale di Coppa Italia a parte. Partite in fotocopia con Genoa e Lazio, ma quest’ultima addirittura definita “emblema” della stagione da Allegri. Affermazione in parte vera, in parte fallace. Schierare tre Primavera non è emblematico, lo è giocare mediocremente col freno a mano tirato.

L’emblema si riassume in una specie di nuovo sport: un rugby, timido e senza placcaggi, fatto di passaggi indietro, con i piedi al posto delle mani. Timido perché sembra che la Juve nutra un sacro timore d’ogni avversario (dal Sassuolo al Genoa, dalla Lazio al Venezia…). Contro la maggior parte delle squadre i bianconeri, una volta in vantaggio, spesso anche prima, hanno cominciato a retrocedere sulla propria linea d’area, a perdere le seconde palle e a balbettare in fase di costruzione. Ad eccezione di pochi casi, quasi tutti gli avversari (sia di alta, sia di bassa caratura) sono sembrati dei leoni di fronte a un gregge impaurito. “Numeri imbarazzanti” ha detto giustamente Sarri a fine partita per sintetizzare un arrembaggio da parte dei suoi, ma anche quasi tutti gli altri allenatori avrebbero potuto dire così.

Bisogna capire se questa mancanza di coraggio derivi da una scelta tattica di Allegri o sia ormai (persiste da qualche anno) nel DNA degli attuali giocatori juventini che, per Sarri, erano “inallenabili” e per Pirlo quasi. Temiamo che il dilemma si sciolga in certezza o quasi. Ovvero entrambe le ragioni. Insomma non uno, ma due Don Abbondio in bianconero.