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Didier Deschamps, ex giocatore e allenatore della Juventus, ora ct della Francia, ha parlato in una lunga intervista a Repubblica: "Una parte di me è italiana. Sei anni in una vita di un uomo sono pochi ma per un calciatore sono tantissimi: sono mezza carriera. Sono marchiato da quello che ho vissuto da voi. E sbagliai ad andare via dopo aver allenato la Juve in serie B".

Si sente un po' italiano anche nel lavoro?
"Da calciatore ho trovato a Torino tutto quello che volevo: l'esigenza del risultato, la cultura della vittoria, una società con ogni persona al posto giusto, dal massaggiatore al presidente, un ambiente familiare nonostante le ambizioni alte. Ho conosciuto il sentimento del benessere della vita. Sul lavoro specifico, caddi in un momento felice, con Lippi, Moggi, Bettega e Giraudo e il loro modo di gestire. Quell'esperienza mi è servita eccome, anche se oggi non faccio quello che facevo 20 anni fa e tutto quello che ho imparato l'ho dovuto adattare a alle mie caratteristiche".

L'ha sorpresa il ritorno di Allegri alla Juve?
"Siccome non mi piace quando vengono a commentare quello che faccio io, mi guardo bene dal commentare quello che fanno gli altri. Però niente mi sorprende".

È Pogba la vostra guida, oggi?
"A livello di leadership è cresciuto. È leader sul campo e anche a livello comunicativo, e lo era già in Russia: nello spogliatoio si esprime con le parole giuste ma anche con il giusto modo di dirle".

Però scapricciava spesso sulla posizione in campo, anche in Russia.
"Lui ha bisogno di toccare il pallone. A Manchester vedo che lo mettono spesso a sinistra, ma non è tanto la posizione che conta, è far passare il gioco da lui, ovunque sia. Senza contare il lavoro che fa: contro la Finlandia ha recuperato 17 palloni, che a livello statistico sono un'enormità".

Mbappé sembrava più forte due anni fa: è d'accordo?
"A 22 anni ha già giocato 50 partite in nazionale, senza considerare i gol e gli assist: vi rendere conto? Il problema è che lui è stato subito grandissimo, suscitando attese talmente alte che sembra che non le mantenga mai. Però fa parte di quei pochi giocatori al mondo che non hanno bisogno degli altri, perché da solo può fare la differenza. Malgrado questo, sa che anche lui dipende da un'organizzazione. All'Euro era andato con buone intenzioni, ma alla fine non ha trovato il gol anche se è entrato in tutte le azioni chiave. Lui è un mondo a parte, ha abituato tutti troppo bene. Deve sempre fare di più, non basta mai".

Gli farebbe bene cambiare squadra e campionato?
"Per me che giochi a Madrid o a Parigi non cambia niente. Adesso la scelta è sua e se le scelte sono buone lo sai solo dopo".

Il tridente stellare del Psg fa fatica, come ha fatto fatica quella della Francia: perché la classe da sola non basta mai?
"È facile aggiungere talento a talento a talento, ma poi serve l'equilibrio. Oggi non puoi perdere un giocatore in fase difensiva, né basta dire: metto il tridente. E gli altri sette? Io ci ho provato con Benzema, Griezmann e Mbappé: non dico che non abbia funzionato, ma poteva funzionare meglio. E sto ancora lavorando per farlo funzionare".

È favore al Mondiale a cadenza biennale?
"No, giocarlo ogni due anni banalizza la competizione, ma la mia opinione, come quella di altri anche più importanti di me, non conta niente: prevarrà l'interesse della maggioranza. Ognuno ha il suo, ad esempio i miei interessi non solo quelli dei club, ma è questo è una dato di fatto".

Il suo successore sarà Zidane?
"Sappiamo l'immagine che ha, ma ci sono tanti bravi allenatori per cui la nazionale, se non un obiettivo, può essere un'opportunità".

Perché la Francia continua a sfornare talenti?
"Ci aiuta la situazione economica del nostro calcio: i club di League 1 fanno giocare ragazzi di 17 e 18 anni che quando arrivano a 20 hanno già esperienza a sufficienza per andare all'estero, dove tutti si fidano dei calciatori francesi perché credono nella formazione che hanno ricevuto".