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Le parole di Alessandro Del Piero, intervenuto a Akos Podcast:

QUANDO HAI COMINCIATO – Che ricordi io fin da piccolo. La mia prima foto è con un pallone tra le mani. In una squadra a 9 anni e poi da lì tutto quello che c’è stato. Il calcio l’ho sempre avuto in testa, dietro casa mia c’era il campetto dove giocavamo tra amici.
 
I GIOVANI ADESSO – La mia generazione, come quella di Baggio, c’era il fuori campo, il calcio di strada, con gli amici. Dinamiche che ti portano a giocare in superfici diverse, condizioni diverse e sono tipologie di esercizi. Questo ti dà tante ore di gioco in condizioni anomale e questo ovviamente manca. Un gap che è dovuto da come funziona la vita in certi ambienti.
 
A PADOVA – Impegnativo. Pensiamo ai 100 km di oggi, ma prima erano diversi e dipende chi li poteva fare. La mia famiglia era umilissima e non potevano venire sempre a Padova. Certo mi mancava casa e gli amici, ma sapevo che era quello che volevo e speravo. Ero in un appartamento con altri ragazzi e un allenatore.
 
BONIPERTI – Per tutti i tifosi della Juve e non, rappresentava non solo il presidente ma la persona di riferimento per il mondo Juve, oltre la famiglia Agnelli. Era il leader di quella società. Da parte mia, non l’ho mai conosciuto se non in un’occasione a 17 anni una volta maturato l’accordo con il Padova. Lui mi ha voluto più di altri, c’era anche il Milan che mi cercava. Da lì ho instaurato un rapporto molto bello, continuato anche dopo anche con la famiglia e che ancora c’è. Fino all’inaugurazione dello Stadium, per me è stato motivo di grandissimo orgoglio essere affiancato a lui che ha fatto la storia della Juve da sempre.
 
OPERAZIONE PADOVA-JUVE – L’ha voluta, c’era molto interesse e lui ha voluto più di tutti questo passaggio. Un passaggio importante anche dal punto di vista economico. Al Padova c’era anche Di Livio che poi venne alla Juventus, con lui ho un’amicizia particolare per via del nostro percorso.
 
PRIMO ANNO A TORINO – A Padova già vedevo giocatori come…Galderisi e poi tutti gli altri della prima squadra, una volta la Serie B aveva uno spessore enorme. Immaginati una squadra con Baggio e Vialli e tutti gli altri. I primi tempi eravamo 3-4 giovani aggregati al ritiro e non ci volevo credere. Situazioni uniche e difficile da descrivere. Sai che se ti hanno chiamato hai dei meriti e devi dimostrare, dall’altra parte devi anche saperti comportare e portare rispetto, saper ascoltare e osservare, si impara tantissimo così. Questo è il percorso che bisogna fare, avere rispetto e poi avere anche l’ambizione di arrivare a quel livello, non puoi fare le cose semplici, devi dimostrare.
 
LIPPI, DIRIGENZA, VENTRONE – Hanno trovato una simbiosi nel proporsi che è stata eccellente, visti i risultati. Fu cambiato tutto, la parte societaria gestita in un modo, Lippi è arrivato con grande energia e voglia. Il nostro percorso è stato anche rivoluzionario, siamo passati al tridente che si era visto quasi mai in Italia, non utilizzato in quel modo. Ventrone è stato uno stravolgimento, diverso da quello che avevo visto prima. Maniacale nei dettagli, voglia di personalizzare il lavoro e una carica incredibile. L’energia messa dentro fu notevole, ognuno nei propri ruoli e tutti sono cresciuti e abbiamo raggiunto traguardi straordinari grazie a questo lavoro continuo e visionario. Abbiamo iniziato a vincere con una squadra che nel primo anno non era così accreditata.
 
SERIE A ’90 – Un campionato che ti divorava, le 7 sorelle ma anche le squadre minori che avevano grandi talenti. Tutti potevano batterti. La qualità era davvero alta.
 
PIEDI PER TERRA – Mentalità, ambizione, imparare dagli errori. Non è che tutto sia andato per il verso giusto, è come reagisci che fa la differenza. La Juve ti porta molto a pensare al passo successivo, godi poco del momento. Vincere era una cosa basica, se pareggi c’era già molto dispiacere. Ogni giorno devi pensare a come essere migliore.
 
 ACQUISTI JUVE – Ci sono stati anni dove sono arrivati dei campioni, ma il leitmotiv non cambiava: il prossimo anno si vince e si vince tutto. Il primo giorno di ritiro era così.
 
INFORTUNIO – Uno spartiacque. Non è stato solo il crociato, ma più complicato. All’epoca i consulti, fosse capitato 15 anni prima magari non sarei riuscito a recuperare. Già la scelta del chirurgo ecc è durata 1 anno, poi tutto l’anno successivo. Un periodo lungo e difficile, la domenica non mi divertivo, è stato molto impegnativo. Una prova mentale e fisica, ma riscopri piccole cose: dopo 4 mesi ho ricominciato a camminare e lasciare le stampelle, poi la prima corsa ecc… Lunghissima, interminabile ma ti fa scoprire altre cose di te. Il mio tipo di infortunio si è visto spesso nel Football americano.
 
MONDIALE – Quando c’è la bufera (Calciopoli ndr) la prima cosa che devi fare è chiuderti in casa. O ci lamentiamo che tutto ci distrae, indipendentemente dalle squadre, oppure ti unisci ancora di più. Abbiamo capito che eravamo forti e che c’erano da fare sacrifici, capire che eravamo una squadra. Io ho giocato in nazionali fortissime, ma poi ci sono i momenti, gli episodi.
 
SERIE B – E’ stato tutto molto naturale, da subito. Per quella che era la mia situazione alla Juve, da capitano, per quello che era successo prima. Io credevo fosse la cosa più giusta e lo credo ancora. Non ho rimpianti, ho fatto un anno stra duro i primi 4-5 mesi e poi è andata meglio. Un anno assurdo, troppo assurdo, ma è finita alla grande. Abbiamo dominato e vinto, un percorso incredibile e folle.
 
IL SALUTO ALLO STADIUM – Impossibile descrivere quello che si è creato in quella giornata, in quell’anno. Sono 19 anni, per me e per i tifosi, dove abbiamo fatto di tutto. Abbiamo vinto tutto, siamo andati nel posto più brutto per una squadra come la Juve, siamo risaliti e abbiamo vinto e io dovevo salutare. Non ci credevo ancora, mi dicevo: qualcosa cambierà, sta accadendo davvero? L’energia di quel momento, sentivo già che c’era qualcosa e poi tutto è esploso quando sono uscito, nessuno guardava la partita. Io pensavo di fare il giro di campo a fine partita, perché per me la partita è sacra, poi è diventato così insistente il grido dei tifosi e anche i miei compagni mi dicevano di andare. Ho capito ancora di più cosa stava accadendo, non solo per quello che rappresentavo io, ma quello che hanno rappresentato quei 19 anni per noi e questa è stata la cosa toccante.
 

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