IL DUELLO - Da tutte le lezioni di Coverciano, Pirlo ha scelto la sua idea e l'ha messa in pratica. Di tutto il bagaglio, d'esperienza e di vittorie, Pirlo ha saputo trarre uno spirito. Solo con il vissuto del campo poteva infonderlo, essere credibile e spendibile. Ha dunque passato in rassegna la crescita all'Inter e al Brescia, gli anni gloriosi del Milan. Poi ha analizzato la rinascita della Juventus passata sul suo destro. Dovendo ricostruire, è andato su una strada già battuta, consapevole di chi avesse al suo fianco, ossia giocatori in grado di ripetere certe gesta, di rialzarsi anche dopo le inevitabili e non per questo meno dolorose cadute. Ha scelto una via, Andrea. Ha scelto di mantenere l'animo più bello e trascinante di tutta la sua esistenza da calciatore: voleva che la Juve lottasse su ogni pallone e senza paura, proprio come faceva con Antonio Conte.
URLA E GESTI - Una pesante differenza, però: diversamente da Conte, Pirlo ha sempre mantenuto l'aplomb, specialmente nei momenti più duri. Anche quando lo stesso 'maestro' ha inscenato provocazioni, applausi, risatine ironiche. Nel bel mezzo dello spettacolo di nevrosi, la strenua tenuta della Juventus si spiega esattamente così: è stata un punching ball vecchio stile e per fortuna davanti non ha trovato Lukaku o Lautaro in versione Rocky. Qualcosa, al termine del match, l'ha urlato Andrea Agnelli e non è stata certamente una citazione d'amore degna di 'Adriana'. E' stata semmai l'immagine di una partita che non ha mai avuto eguali, che però nell'ultimo periodo si è caricata di silenzi e retroscena, di amicizie spaccate e di inamicizie solidissime. E' stato Juve-Inter fino in fondo, a ripensarci. Peccato per il pubblico: avrebbe certamente consacrato Pirlo, nella notte in cui ha spento definitivamente i fantasmi del passato.