E’ possibile, persino doveroso, partire dal giorno in cui dalla Sicilia arrivò un giovane giocatore che non possedeva certamente un fisico bestiale, ma il quale dentro di sè custodiva doti e qualità professionali e morali di assoluta eccellenza. Si chiamava Giuseppe Furino, detto subito Beppe, è diventò strada facendo uno dei pilastri fondamentali su quali vennero costruite i successi della Juventus.
Fu anche il capitano della squadra, trascinatore piccolo ma d’acciaio al punto da stimolare la fantasia di un grande giornalista e poeta come Vladimiro Caminiti il quale lo reiventò e lo propose alla letteratura sportiva come “Furia, Furin, furetto capitano con l’elmetto”. Una pennellata geniale assolutamente conforme alla tipologia di un giocatore quasi unico per furore agonistico e lealtà.
A seguire arrivò poi un tipo tutto nervi e animosità da vendere come Marco Tardelli. Anche lui sorretto da quelle qualità interiore che andavano ben oltre le sue naturali caratteristiche fisiche e morfologiche da atleta in grado di dare sempre e comunque quel qualcosa in più rispetto persino a ciò che gli veniva richiesto. E quando Tardelli, per un motivo qualsiasi non era in campo, la sua assenza pesava.
Più o meno il medesimo discorso è possibile farlo ricordando i sette anni durante i quali Edgar Davids vestì la maglia bianconera. L’olandese di colore, come i suoi predecessori, apparteneva a quella categoria speciale che potrebbe essere definita la “generazione dei pitbull” ovvero elementi da combattimento senza macchia e senza paura in grado di trasformare una squadra in grande squadra.
L’impressione, positiva, è che l’ingaggio del “marine” MacKennie vada interpretato proprio in questa chiave. Un giocatore che le dà e le prende senza mai lamentarsi e che si piazza davanti alla difesa con l’espressione scolpita sul volto della serie “io sono qui che vi aspetto, vediamo un poco se qualcuno riesce a passare”. Pronto a mordere, battagliare, mai disposto a perdere. Ciò che mancava alla Juventus.