commenta
Forse accade perché i numeri 10, i talenti, vogliono essere sempre un po’ coccolati e invece la Juve, società muscolare, non ama accarezzare i suoi calciatori, nemmeno i più preziosi. O forse succede perché i colpi dei giocatori geniali, quando non portano i risultati attesi, a Torino sono visti come qualcosa di superfluo, quasi inutile: non interessa lustrarsi gli occhi con una magia se la bacheca rimane vuota, l’estetica (da quelle parti) è un dettaglio da perdenti. Qualunque sia il motivo, il risultato è sempre lo stesso: da oltre un quarto di secolo, il club bianconero scarica in malo modo i suoi numeri 10.

Tutto cominciò con Baggio, anno di grazia 1995: appena conquistato il suo primo scudetto (da capitano), Roby venne convocato da Umberto Agnelli il quale gli comunicò che la Juve non aveva intenzione di rinnovargli il contratto. Dietro di lui scalpitava Del Piero che però, nel momento dell’addio e dopo avere vinto tutto (battendo ogni record del club), è stato messo alla porta con metodi altrettanto rudi stavolta da un altro Agnelli, Andrea, il figlio di Umberto. La vicenda Dybala ricorda un po’ l’una e un po’ l’altra storia: scaricato come Baggio, alla scadenza del contratto; fatto fuori da Andrea Agnelli, come Del Piero. La differenza, rispetto a quanto accaduto a Roby, è che stavolta il presidente nemmeno si è preoccupato di dirgli in faccia qual era la decisione della società: l’ha fatta comunicare all’entourage del calciatore dai suoi collaboratori. Non un modo sereno e amichevole di salutare un campione che avrà anche avuto guai fisici nelle ultime due stagioni, ma ha comunque contribuito a ottenere tanti successi ed è appena entrato nei primi dieci marcatori della storia bianconera (a due gol di distanza da Baggio, guarda un po’).

Dopo l’addio di Baggio, la Juve continuò il suo percorso vincente impreziosendolo con la Champions (ma Roby nella stagione successiva si prese un altro scudetto con il Milan). Partito Del Piero, il ciclo dei successi bianconeri non si è interrotto. Il caso Dybala è differente, perché Paulo se ne va non in un momento di vittorie, bensì di indispensabile ricostruzione: la Juve (quasi sicuramente) resterà senza scudetto per la seconda stagione di fila e dovrà ricominciare a vincere senza il suo calciatore di maggior talento.

@steagresti