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 Hernan Crespo, oggi allenatore ma dal 1996 al 1999 compagno di squadra di Enrico Chiesa nel Parma, ha raccontato Federico e commentato il suo stato di forma. Ecco le parole alla Gazzetta: «I primi calci al pallone Federico li ha tirati con suo papà e con il sottoscritto sui campi di Collecchio. Avrà avuto due o tre anni. Direi che siamo stati due buoni maestri a giudicare da quant’è diventato bravo».

ANALOGIE - «Sono due giocatori che si integrano bene, proprio come capitava a me e a Enrico. Io più centravanti, come Vlahovic, e lui più seconda punta, il ruolo che oggi ricopre suo figlio Federico. Però vedo anche differenze. Enrico era più attaccante rispetto a suo figlio. Aveva il sano egoismo che deve possedere chi, di mestiere, sta nel cuore delle difese avversarie. Federico è più abituato ad agire sulla fascia. Secondo me ha tutte le qualità per diventare una seconda punta simile al padre, ma a patto che diventi ancora più prolifico».

INTESA CON VLAHOVIC - «Il calcio non è materia da scienziati, è un gioco abbastanza semplice. Se c’è un attaccante potente e tecnico come Vlahovic e gli affianchi un giocatore molto mobile come Chiesa, allora sei quasi sicuro di ottenere un buon risultato. I due dialogano bene in velocità, parlano la stessa lingua tecnica. Dev’essere la squadra, con un’opportuna manovra, a supportarli con efficacia: in giro ce ne sono poche di coppie così».

COPPIA MIGLIORE - «Forse non il migliore, ma perlomeno il secondo. Al primo posto ci metto Lautaro e Marcus Thuram, un altro con il quale ho tirato qualche calcio a Parma, visto che pure suo padre Lilian è stato mio compagno di squadra. E poi, dopo il Toro e il francese, la seconda piazza se la dividono Vlahovic-Chiesa e Dybala-Lukaku. Con la differenza che la Juve, al momento, è più squadra della Roma e dunque gli attaccanti bianconeri sono avvantaggiati».

LE QUALITA' - «La velocità e il tiro secco, anche se papà Enrico era ancora più preciso di lui. Federico, nella sua azione, è essenziale: pochi fronzoli e tanta sostanza. Secondo me sarà un punto fermo della nuova Nazionale di Spalletti, ma va utilizzato da seconda punta e non da esterno nel 4-3-3».

CHI GIOCHEREBBE - «Nessun dubbio: giocheremmo io e papà Enrico. Anche se è difficile fare paragoni tra calciatori di epoche diverse, noi attaccanti degli anni Novanta avevamo qualcosa di più a livello tecnico e, soprattutto, ci misuravamo contro difensori di grande spessore. Oggi le marcature sono più blande»