Moderato con coloro che gli hanno appena scippato quantomeno un pareggio; letale e caustico con l’avversario per antonomasia (non nominarlo è il nuovo mood). Perché a Napoli, da parte di club e tifosi, interessa poco aver fatto una figuraccia memorabile contro l’Inter, facendosi quasi scucire lo scudetto da dosso con 6 mesi d’anticipo, tra l’altro in casa propria: a loro interessa solo e soltanto che quel tricolore non lo vada a vincere la disprezzata Juventus. Il loro chiodo fisso, o - arrivati a questo punto - un vero e proprio incubo. Anche quando gli gira tutto storto, per motivi che esulano dalla Juve, riescono a tirarla dentro lo stesso: preferiscono anche perdere 3-0 una partita, se questo impedisce alla Juve di essere in testa alla classifica. Che è come la barzelletta di quello che vuole fare un dispetto alla moglie e si evira.
Ritrovarsi poi stasera persino Orsato come direttore di gara, nonostante la furibonda telefonata di ADL ai vertici AIA subito dopo il discutibile arbitraggio ricevuto con l’Inter, li ha incattiviti & insospettiti ancora di più. Perché proprio a proposito di imbrogli, questa indigesta designazione ha teletrasportato i napoletani al 2016 e a quel tricolore perso in volata, ma che loro sono ancora convinti di aver lasciato in un albergo di Firenze, causa mancata espulsione di Pjanic in quel Derby d’Italia diretto proprio dall’arbitro di Schio. Uno dei tanti a libro paga di Madama: è la tesi che va per la maggiore nei bar di Fuorigrotta e condivisa – seppur non ufficialmente – pure dal padrone (altrimenti non farebbe certe allusioni). Insomma: quando lo scudetto lo vincono loro è strameritato, se l’ avversario più odiato ne mette in sequenza 9 di fila in bacheca, c’è riuscito solo grazie agli imbrogli. Alla faccia della sportività di cui si ritengono fieri paladini e che pretendono se ne faccia uso quando perdono ingiustamente. Strano, però, non l’abbiano pretesa dagli interisti, nonostante abbiano dichiarato ufficialmente (questa volta si) di aver perso la partita per colpa dell’arbitro. Questione di feeling, direbbe Mina.