Dopo l’archiviazione del caso sulle false fatturazioni da parte della Corte dei Conti, ecco ottenuto un altro punto a favore della Juve. Adesso spetterà alla Corte di Cassazione sancirlo nell’udienza fissata in autunno, ed è quasi scontato che confermerà quanto sostenuto dalle sue tre figure apicali.
Perché a Torino i magistrati si siano così ostinati a voler portare avanti lo stesso un’inchiesta sui conti bianconeri, pur consapevoli del rischio che gliel’avrebbero potuta sottrarre, lo aveva chiaramente fatto capire uno di loro (Santoriello, ndr) quando ammise candidamente - in un paio di convegni - che lui odiava la Juve. E come lui, probabilmente, anche qualche altro componente del pool, considerando che Prisma non è stata l’unica indagine aperta in questi ultimi anni dalla Procura torinese nei confronti del club bianconero e di Agnelli. Volevano incastrare pure stavolta AA e vedremo se ci saranno riusciti, soprattutto se i magistrati piemontesi troveranno sponde nei colleghi milanesi, che quando dovettero esprimersi in passato su capi d’accusa analoghi non condannarono nessuno, e archiviarono.
Dovesse accadere anche stavolta, e non è così improbabile, la FIGC e la propria procura darebbero prova – per l’ennesima volta – di aver agito in modo incauto, arbitrario ed affrettato pur di giungere in breve tempo (4 mesi e mezzo) ad un giudizio “perentorio”, ma probabilmente sbagliato. Espresso sulla base di indizi di reato contestabili e raccolti da magistrati “incompetenti” (per giurisdizione), animati presumibilmente da uno spirito antijuventino.
Gravina, amante delle riverenze e molto meno delle critiche, dirà che la giustizia sportiva si muove su territori diversi e con regole differenti, in nome di un’autonomia che le consente di tutto, anche di condannare un club in assenza di norme specifiche (vedi sulle plusvalenze) ma usando accuse generiche (la slealtà). Il tutto in barba agli elementari principi costituzionali, e ricevendo al massimo qualche ovattato rimbrotto da parte del ministro dello sport, che ben si guarda dallo scalfire l’autonomia dei burocrati di via Allegri, espressione di quella stessa politica di cui lui fa parte.
Dovesse finire a Milano come Gravina non si augura, nessuno chiederà scusa, non ci sarà alcun risarcimento: il danno è stato fatto, poveretto chi l’ha subito. Anzi, neanche poveretto, perché il sentimento popolare è genericamente antijuventino, e quindi va bene così.