Finirà tutto a pizza e mandolini, perché così ci ha abituati da anni la procura federale. È già capitato con la scandalosa vicenda tamponi della Lazio, ricapiterà pure stavolta per le quarantene non rispettate da Zelinski, Rrhamani e Lobotka, quando la sera dell’Epifania scesero tutti e tre in campo a Torino, nonostante il divieto a lasciare le proprie residenze impostogli dalla solita Asl 2 di Napoli. Che stavolta qualche ragione ce l’aveva pure, considerato che l’intero trio non si era ancora sottoposto alla dose booster di vaccino e - pare - avessero tutti il green pass scaduto.
A norma di protocollo, quella sera non avrebbero potuto giocare, ma siccome siamo in Italia, gli organi disciplinari della Federazione si sono messi in moto a quasi tre mesi di distanza dall’accaduto. Ci risponderanno che le inchieste hanno i loro tempi, ma in questo caso stupisce il lasso di tempo impiegato dal procuratore federale essendo i fatti molto chiari fin dall’inizio. Non avremo mai risposte, e non dobbiamo nemmeno stupircene: funziona così.
Siccome molti dirigenti di società conoscono bene i meccanismi federali, se ne fregano di regole e regolamenti e fanno quello che gli pare, sicuri che al massimo gli verrà fatta pagare una multa, e talvolta nemmeno quella. Oppure a pagare saranno altri e non loro. Come già capitato per il caso Immobile con la Lazio: giocatore positivo schierato contro il Torino, e successiva inibizione di tre medici del club più ammenda alla società. Nonostante ci fossero di mezzo una serie di tamponi sospetti elaborati da una struttura sanitaria di Avellino scelta appositamente dal club, si decise fosse sufficiente una sanzione così blanda. Niente squalifiche per nessuno, nessun punto tolto in classifica alla Lazio, nessun 3-0 a tavolino. Nulla di nulla.
Rammentiamo pure come finì, un anno prima, la vicenda Juve-Napoli, con la squadra partenopea bloccata all’aeroporto dalle Asl locali perché con troppi positivi in rosa (seppur il protocollo sanitario, allora vigente, consentiva ai club di disputare le gare con 12 calciatori sani disponibili) e con la società che risultò aver svolto un ruolo attivo per impedire lo svolgimento di quella partita. Il giudice federale Sandulli arrivò a parlare di “dolo preordinato”, ma davanti al tribunale del Coni fu la stessa federazione a delegittimarlo non presentandosi all’udienza e permettendo così al Napoli di farla franca.
Di fronte a questi precedenti, appare scontato il copione al quale assisteremo anche per quest’ultima vicenda: appelli, ricorsi, contro-ricorsi, sanzioni minime. Con sentenze definitive che arriveranno a campionato ormai finito.
Restando sempre in attesa di una riforma seria della giustizia sportiva. Se ne parla da decenni, non è mai stata avviata. Nemmeno dall’attuale presidente federale Gravina, il cui mandato quadriennale è costellato finora dal nulla cosmico. L’europeo vinto? Non è stato di certo merito suo, visto che il sistema calcio italiano è fermo a come lo aveva lasciato Tavecchio, che ebbe almeno il buon gusto di dimettersi dopo un mondiale mancato.