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Da miglior direttore sportivo d’Italia a zimbello. Perché così Aurelio De Laurentiis sta trattando ora il suo ex dipendente Cristiano Giuntoli, colpevole di essere voluto passare alla Juventus dopo otto anni al Napoli. La sesta Coppa Italia esibita come una reliquia perché ottenuta proprio battendo la Juve in finale, la quasi sistematica partecipazione annuale alla Champions League e, soprattutto, la conquista del terzo scudetto dopo 33 anni non rappresentano più il frutto dell’ottimo lavoro di Giuntoli. Tutto merito d’altri. 
Così come la costruzione, anno dopo anno, di una rosa importante grazie alla quale il Napoli è tornato ad essere competitivo sia in Italia che all’estero: Micheli, Mantovani e Pompilio - ovvero i collaboratori più stretti dell’ex ds partenopeo – erano più bravi di lui. “Che di giocatori ne ha indovinati tanti, ma altrettanti ne ha sbagliati”. Alla fine, a sentire ADL, Giuntoli è stato un DS come tanti. Certo, uno “umile e con la cultura del lavoro”, ma niente di eccezionale. 
E le intuizioni sui giocatori sconosciuti, rivelatisi poi dei crack? “Kvaratskhelia, per esempio, non è stato un suo colpo: lo segnalarono a mio figlio Edoardo, che poi lo riferì a Giuntoli”. Chissà se almeno la paternità sull’acquisto di Osimhen verrà attribuita a Giuntoli, o pure il nigeriano verrà considerato il suggerimento di qualcun altro. 
A dire il vero, tutti i direttori sportivi vivono di dritte da parte degli osservatori mandati in giro dalle società di appartenenza, ma poi devono essere bravi loro a dividere il grano dalla pula. E in questo Giuntoli è tra i migliori, anche se adesso ADL sta cercando di sminuirne le capacità. 
E lo fa solo per un motivo: perché ancora non ha digerito che il suo ex direttore sportivo, dopo aver costruito il Napoli campione d’Italia, gli abbia chiesto di andare alla Juventus, “la squadra considerata la nemica sportiva numero uno”. Parole sue. Tra l’altro il club per il quale Giuntoli ha sempre tifato fin da bambino, ma questo ovviamente non gli ha impedito di svolgere comunque al meglio delle proprie possibilità il lavoro al Napoli. Quando ha ritenuto di averlo ultimato nel modo migliore possibile, ha chiesto al presidente di lasciarlo andare là dove avrebbe voluto approdare da sempre. Di togliersi la soddisfazione della vita.
Pensare che ADL fosse all’oscuro di questa ambizione personale da parte del proprio dirigente è impossibile. Può servire per recitare la sceneggiata napoletana del presidente tradito da vendere poi alla piazza, ma che non sapesse della juventinità di Giuntoli è inverosimile. Ne erano al corrente in tanti nel mondo del calcio, paradossale che la storia non fosse giunta all’orecchio di De Laurentiis, uno a cui difficilmente sfugge qualcosa. Eppure, anche di recente, ha ripetuto di essersi sorpreso di questa scelta. 
Non pago, è andato pure di dileggio: “Da sei mesi si era messo in branda, non faceva che ripetermi che voleva andare alla Juve”. E lui ha fatto pure di tutto per ostacolarlo, prima chiedendo un indennizzo (avendo Giuntoli ancora un anno di contratto con il Napoli) e poi liberandolo solo l’ultimo giorno della scorsa stagione. Come a volergli far scontare questa scelta. 
Parole e comportamenti che la tifoseria partenopea ha sicuramente gradito, ma che poco s’addicono ad un presidente. De Laurentiis è fatto così. Neppure a Napoli lo amano in tanti, ma se fa passare Giuntoli per o’ scartellato (“il gobbo” nella Smorfia) allora sono tutti con lui