Stiamo parlando di quegli stessi giudici che sono in grado, dopo un’udienza di una ventina di minuti, di stabilire la colpevolezza di un club e assegnargli 15 punti di penalizzazione, da scontare immediatamente nel campionato in corso, però necessitano di almeno una decina di giorni per decidere se squalificare l’intero settore di una curva. Tanto più che le riunioni le fanno da remoto, collegandosi dai propri uffici professionali o, magari, dal salotto di casa.
Di quali altri elementi hanno bisogno i signori giurati della Corte d’Appello federale? I quali, per prendere una decisione facile facile come questa (ci sono stati i cori razzisti o no? Li ha intonati l’intera curva, oppure – come risulta nitidamente da alcuni video – li hanno urlati solo un gruppetto di imbecilli, un paio dei quali già individuati, denunciati dalla società e puniti con pesantissime squalifiche personali?) avranno persino bisogno di riunirsi a sessioni unite, coinvolgendo ancora più persone. Organizzando quasi un Congresso di Vienna, ma non per ridisegnare l’Europa (come avvenne nel 1815) ma stabilire se aprire o chiudere la curva di uno stadio. Perché questo prevede l’elefantiaca, burocratica, autarchica giustizia sportiva.
Veloce, cinica e spietata solo quando fa comodo a lei. Con la pretesa di venire pure accettata e riverita, perché “le sentenze non si discutono, si accettano”. Un vecchio adagio che potrebbe valere se le sentenze, anche severe, corrispondessero a una reale giustizia. Basata su prove e accuse certe, non generiche. Tipo, la “slealtà” dell’articolo 4, ritirato fuori dal procuratore federale Chiné per tornare prossimamente a penalizzare la Juventus nel 2° filone d’indagine, quello in cui il magistrato sportivo ha messo dentro tutto, dagli stipendi non iscritti a bilancio alle partnership sospette con società amiche.
Il non aver inserito nel deferimento il ben più circostanziato articolo 31, quello che va a colpire nello specifico il dolo amministrativo, induce a pensare che Chiné non abbia raccolto elementi sufficienti per poterlo utilizzare, virando così sulla “slealtà”. Come nel 2006, per Calciopoli, si fece la somma degli articoli 6 per creare un articolo 1 (frode sportiva) per retrocedere la Juventus, partorendo un aborto giuridico senza precedenti. A 17 anni di distanza le storture di quell’altrettanto sbrigativo processo, celebrato in una sola settimana utilizzando una parte di intercettazioni e prove a disposizione, stanno finalmente venendo a galla. Di recente anche il TAR, e poi il Consiglio di Stato, hanno inoltre sollevato critiche sulle procedure della giustizia sportiva, richiamandola a muoversi nell’ambito del giusto processo, non abusando troppo della propria indipendenza.
Che stia finendo la pacchia di questo Politburo sportivo, spesso autore di sentenze politiche anziché giuste? Se il vento è cambiato lo capiremo mercoledì prossimo, quando il CONI deciderà sul ricorso Juve in merito ai 15 punti di penalità. Dopodiché arriveranno le richieste definitive della Procura, probabilmente modulate sull’esito di quella sentenza, e anche la decisione definitiva sulla curva dello stadio. Tutto in fazzoletto di tempo. Perché così si muove, e si è sempre mossa, la giustizia sportiva. Anche per la mancata volontà dei presidenti federali di riformarla. Per esempio, Gravina.