L’Inter, per tornare a vincere uno scudetto dopo 10 anni, ha avuto bisogno di 2 ex juventini: un ottimo manager e un bravissimo allenatore. È un dato di fatto. Due numeri 1 andati via dalla Juve per incomprensioni con l’attuale dirigenza bianconera, convinta di poter continuare a vincere anche senza di loro. Ci sono riusciti mettendo in panchina un altro tecnico molto bravo come Allegri, non ce l’hanno più fatta quando si sono ritrovati senza un Direttore Generale capace come Marotta. Con la sopravalutazione e la presunzione che contraddistingue la Juve dell’ultimo biennio, hanno ritenuto Fabio Paratici più bravo del Beppe, l’allievo superiore al maestro, e non è stato così.
Paratici è uno dei migliori scopritori di talenti in circolazione, ma sapere individuare dei bravi calciatori non è sufficiente per svolgere poi a tutto tondo il ruolo di dirigente, in questo caso di Direttore Sportivo e al tempo stesso di DG: devi saper trattare coi procuratori, coi club proprietari dei cartellini, saper scrivere i contratti.
Altrimenti poi vengono fuori aborti come quello fatto firmare la scorsa stagione a Sarri: un accordo biennale con una penale da 2.5 milioni da far valere nel caso non scattasse, in automatico al terzo anno, il rinnovo con maggiorazione di stipendio. Roba da manicomio.
Tanto quanto assicurarsi a parametro zero lo sciagurato Ramsey proponendogli uno stipendio da 7 milioni annui, per poi vedergli trascorrere gran parte delle ultime 2 stagioni più al JMedical che in campo. Fatalità? Bastava leggersi la cartella clinica del giocatore prima di contrattualizzarlo e dirottare magari la scelta su un altro centrocampista. Sano.
Per non parlare di scambi assurdi, tipo Pjanic per Arthur o Spinazzola per Pellegrini, effettuati privilegiando esclusivamente l’aspetto finanziario e trascurando del tutto quello tecnico. Oppure la scelta di investire 45 milioni su Kulusevski piuttosto che su Haaland, quando la rosa era già zeppa di esterni e deficitaria in attacco, dove era stato immolato sull’altare delle plusvalenze pure il giovane Kean, salvo provare poi a riprenderlo ad una cifra decuplicata nella sessione di mercato successivo. Per non parlare dell’assurda manfrina per cercare di assicurarsi Suarez. Errori su errori che, forse, Marotta non avrebbe commesso.
Cerca la rivincita dell’amante tradito pure Conte, non pago della vittoria già ottenuta nel derby d’Italia d’andata. Nonostante il dito medio mostrato ad Agnelli nell’ultimo confronto in Coppa Italia, Antonio porta addosso un imprinting da juventino che gli è servito eccome per riuscire a far vincere anche l’Inter, dove si è trovato ad affrontare mille difficoltà ed imprevisti non senza qualche confronto a muso duro. Come capitò in passato, per altri motivi, pure alla Juve, dove però a fine mese lo stipendio gli veniva versato regolarmente in banca. Ecco perché Antonio sarebbe disposto anche ad abbassarselo pur di poterci tornare, come provò già a fare due stagioni fa ma Agnelli mise il veto. In caso però di rivoluzione societaria, mai dire mai. Magari anche per il Beppe.