Ciò che un giornalista non dovrebbe fare, semmai, è interpretare le notizie in proprio possesso, forzandone una lettura che orienti poi l’opinione pubblica in una certa direzione. Questo, caro Mario, è ciò che genera il fastidio: le deduzioni a priori grondanti malafede e partigianeria. Quando il giornalista si sostituisce al giudice e formula una propria sentenza.
Il caso Suarez è un tipico caso di maneggio all’italiana, così come lo è stato altrettanto quello che ha coinvolto le ASL napoletane sulla partita Juve-Napoli. In entrambe le situazioni c’è stato qualcuno che ha provato a chiedere un piacere a qualcun altro, con quest’ultimo disponibile a farglielo. Per ottenerne magari poi un vantaggio in futuro, oppure si è mosso a puro titolo di amicizia e simpatia. Non va bene, né in un caso e nemmeno nell’altro, ed è normale che se un cronista scopre l’intrigo poi ne scriva.
Dipende, però, come lo fa. Se limitandosi a riportare i fatti nudi e crudi, per corretto dovere di cronaca, o se volutamente ci aggiunge del veleno. Avvalorando le proprie tesi accusatorie coi contributi di terzi (avvocati, magistrati, etc.) allineati col suo pensiero. Questo è ciò che dà fastidio. Le deduzioni unidirezionali, il rumore fine a se stesso, il martellamento mediatico sempre e solo su un caso, magari animato dalla personale antipatia verso qualcuno.
Perché, per esempio, nessuno vuole capire come mai il CONI ha ribaltato la sentenza FIGC su Juve-Napoli, nonostante poggiasse sulla tesi forte del “dolo organizzato” e il presidente federale Gravina abbia poi difeso l’operato dei propri giudici definendoli di “alto profilo”? Non interessa a nessun collega animato dal desiderio di fare chiarezza trovare una spiegazione, come per il caso Suarez? Davvero molto strano.