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Non ce l'ho con Bonolis, così come lui stesso ha detto di non avercela con gli juventini. Anzi, lo trovo pure simpatico, oltre che un eccellente professionista della tv. Ce l'ho solo con le bugie che ha sparato in serie in un suo recente intervento radiofonico, nel quale ha commentato il caso plusvalenze abbattutosi sulla Juventus
Non gli dovrei nemmeno replicare, perché – come ha giustamente spiegato l'ottimo collega Balzarini di Mediaset – Bonolis non esercita il mestiere di giornalista, fa l'intrattenitore, e come tale esprime opinioni da bar sport. Mi limito semplicemente a rinfrescargli la memoria, perché quelli del “se la cantano e se la suonano” sono proprio gli interisti, sempre pronti a descrivere la Juventus come Belzebù (“oggettivamente negli ultimi 30 anni è sempre finita in mezzo ad ogni inchiesta” sostiene Bonolis) ed omettendo di proposito tutte le marachelle commesse negli anni dal loro club.
Nel suo polemico intervento Bonolis ha ricordato Calciopoli, il doping, la Superlega, adesso le plusvalenze. “I dirigenti juventini - ha aggiunto - pensano che il potere e l’importanza gli permettano di vivere con regole differenti dagli altri”. Dimenticandosi di tutte le disavventure dell’Inter, dai passaporti falsi ai pedinamenti illegali, dai rapporti promiscui con l’intelligence di Telecom quando era di proprietà di Tronchetti alle telefonate di Facchetti da illecito sportivo secco, come riportato testuale dalla relazione Palazzi seppur a babbo morto. Per non parlare delle plusvalenze, per decenni pratica utilizzata ed abusata dalla società meneghina e che le procurò non pochi fastidi giudiziari, proprio come adesso sta capitando alla Juventus.
L’inchiesta più recente non è solo quella del 2008, ma ce n’è un’altra datata 2018 che coinvolse direttamente l’ex presidente Thohir e riguardava plusvalenze sospette condotte, nel 2013, tra Genoa e Inter. L’ipotesi di reato era legata al passaggio a prezzi gonfiati di alcuni ragazzini, non proprio di primo livello e mai arrivati in prima squadra, valutati svariati milioni. Pure in quella circostanza l’ipotesi fu falso in bilancio, la medesima accusa formulata stavolta dai pm della Procura di Torino ai dirigenti della Juve. Ne scrisse per primo il Corriere della Sera, poi a cascata tutti gli altri. Dopodiché, silenzio. Non uno che la ritirò fuori e che ci indagò con la stessa pervicacia con la quale ci si sta occupando ora dell’inchiesta Prisma. Ci furono sviluppi? Quell’indagine venne archiviata? Non si sa. 
Per non parlare dei bilanci fatti quadrare, nelle stagioni pre Calciopoli, con la vendita del proprio marchio a Inter Brand, società controllata dalla medesima società. Una cosmesi contabile avvenuta attraverso una vendita fittizia a se stessi e che mascherava un prestito bancario in grado di consentire al club di spalmare i debiti su più esercizi. La Consob indagò e l’Inter se la cavò con una minima ricapitalizzazione. 
Perché l’Inter, in un modo o nell’altro, se la cava sempre, grazie a qualche trattamento di favore da parte della FIGC o alla prescrizione, alla quale non rinuncia mai per nessuna ragione al mondo, in modo da evitare l’intervento della Giustizia sportiva o ordinaria, sgombrare il campo dalle accuse e consentirle poi di puntare il dito contro gli altri. Come fa lo smemorato Bonolis, al quale consiglio un passaggio una tantum in qualche emeroteca prima di fare il censore altrui.