commenta
Osvaldo Jaconi, l'allenatore che ha fatto debuttare Chiellini tra i professionisti con il Livorno, racconta Giorgio a Tuttosport

IL DEBUTTO - "Giorgio aveva 15 anni e mezzo e giocava negli Allievi. Come era mia consuetudine, allenando la prima squadra, andavo a vedere le partite del settore giovanile per valutare se c’erano giovani interessanti. E mi sono imbattuto in questo difensore, un ragazzone altissimo, dal fisico portentoso. “Che ci fai qui, vieni con noi...” gli ho detto e si è aggregato alla prima squadra. Noi ci allenavamo a Tirrenia e così lui si faceva portare in macchina dalla mamma o dalla nonna, non osava chiedere ai compagni un passaggio da Livorno. Lì ha imparato i valori di chi si affaccia alla prima squadra: puntualità, sacrificio, rispetto. Ma con Giorgio è stato semplice perché erano i valori della sua famiglia". 

DA CENTRALE - "L’ho fatto esordire al centro in una partita di Coppa Italia. Oltre ad avere una naturale propensione alla spinta, avevo capito che poteva difendere anche uno spazio più ampio. E si è consacrato in quel ruolo, tanto che contro di lui anche i migliori attaccanti faticano. La cattiveria? Quella se l’è formata gradualmente perché Giorgio è sempre stato un ragazzo intelligente. Non viveva alla giornata, ma studiava gli avversari, ogni partita era un momento di crescita. E si sono visti i risultati di tanti anni di lavoro e abnegazione: anche nella finale di Coppa Italia è stato il migliore tra i bianconeri, la sua esperienza lo porta ad anticipare le mosse dell’attaccante".

UN ANEDDOTO - "La ramanzina che gli ho fatto quando non si è presentato agli allenamenti. Lui si allenava con noi e la domenica, se non era convocato, giocava con gli Allievi. Per una settimana non si fa vedere perché ha l’influenza, quando si ripresenta gli dico “Tu non hai ancora capito dove sei capitato, devi avvisare...”. Quella frase l’ha utilizzata per intitolare un capitolo della sua autobiografia. Tutto quello che ha ottenuto se lo è ampiamente guadagnato. Il primo campionato lo ha vinto con me al Livorno, poi ha spiccato il volo. Io guardo non solo il calciatore, ma l’uomo. Se ho ottenuto così tante promozioni è perché mi sono sempre circondato di uomini che combattono al tuo fianco e non ti tradiscono mai. E Giorgio è così. Se si chiede il nome di un campione, tutti rispondono Cristiano Ronaldo, Messi o Neymar, il vero campione per me è uno come Giorgio, che tutti i giorni mette l’anima in campo e che con umiltà aiuta i compagni e la squadra. Ci vuole pazienza e costanza, la capacità di superare lo stress ed essere sempre presente a se stesso. Oltre a Giorgio, penso a Maldini e Baresi". 

L'ADDIO ALLA JUVE - "Dall’alto della sua moralità e intelligenza ha capito che è arrivato il momento di lasciare. Questo è stato un anno altalenante per lui, la sua è una decisione meditata nel tempo. Lui è sempre stato attratto dagli Usa perché ha una mente fervida, curiosa. Ha ancora le figlie piccole e sarebbe un investimento famigliare un’esperienza negli States, a contatto con una cultura diversa. Ma poi torna perché il suo futuro è già designato. Al termine della carriera diventerà un uomo simbolo della Juve, possiede tutti i requisiti per esserlo: stiamo parlando di un ragazzo intelligentissimo, con due lauree. Con Agnelli ha già parlato tante volte di quello che può e deve dare". 

IL RETROSCENA - "Se ci siamo sentiti? Qualche volta al telefono, però soprattutto in chat. Qualche anno fa mi ha chiamato e siamo rimasti un’ora a parlare. Non mi ha chiesto consigli, voleva soltanto esternare i suoi ragionamenti, visto che lo stavano cercando dalla Premier. Alla fine non se ne fece nulla perché ha prevalso il suo legame con la Juve Io non lo vedo. Le sue qualità sono uniche. E campioni come lui le società non vorrebbero mai vederli invecchiare".