“Che coppa abbiamo noi” (edizioni 66thand2nd) è il racconto nudo e crudo di tutte le volte in cui Madama è caduta in Champions League , e non solo nelle 7 e purtroppo indimenticabili finali ma anche negli altri turni. La sofferenza è stata sempre uguale , che si uscisse quando ancora si disputavano i 16esimi o in semifinale, con un gol di Magath al 10’ e mai recuperato nei restanti 80’, oppure ai rigori col Milan all’Old Trafford.
Giuseppe Pastore, uno dei pochi a ricordare a memoria tutti i risultati di calcio degli ultimi 30 anni, quei momenti tragici li mette in fila e non ne tralascia uno, inquadrandoli ciascuno nel contesto storico-sportivo del momento, infarcendoli di notizie, aneddoti e curiosità che rendono sapido il racconto.
A leggere i 35 capitoli non ci si fa del male, non è un cinico harakiri , piuttosto è come fare outing dallo strizzacervelli, tirando fuori tutti gli sbagli commessi, elaborandoli criticamente e cercando l’eventuale cura. Che non è una sola, perché ogni volta la caduta ha avuto cause diverse: l’avversario più forte, come col Benfica di Eusebio nel 68, più bravo, come un recente Villareal, la Juve sbagliata di Atene, un Peruzzi addormentato nella finale di Monaco, e tante altre.
L’unica che Pastore esclude è il destino, cinico e baro. Più prosaicamente, la sfiga. O peggio, una maledizione , alla quale una stragrande moltitudine di juventini invece crede. Nelle riletture delle sconfitte bianconere Pastore preferisce sempre dare una spiegazione razionale , anche se spesso “le vicende europee della Juventus – scrive – seguono spesso traiettorie che la ragione non prevede”.
Se Spalletti regalerà agli azzurri il libro sugli All Blacks, “Ma che Coppa abbiamo noi” dovrebbero leggerselo tutti alla Continassa, nella speranza di non ricadere la prossima volta negli stessi errori.