COMPLICITA' - «Avevamo una complicità unica, perché ci conoscevamo alla perfezione. Tutto nasce sempre dalla conoscenza, dei pregi e dei difetti. Io sapevo dove poteva arrivare lui e lui sapeva dove potevo arrivare io. Questa è stata la nostra forza».
PER L'ITALIA - «Credo che sia l’esempio più grande di quanto la serietà, l’intelligenza, la dedizione e la passione per il tuo lavoro ti possano far raggiungere dei risultati impensabili. Il Chiello è un martello con se stesso e con gli altri, non si tira mai indietro, suda e fatica per conquistare l’obiettivo che si è messo in testa».
PIU' FORTE - «Alla fine diciamo che non è stato il giocatore che tecnicamente ti rapiva. Intendo dire quello stilisticamente perfetto, movimenti sempre aggraziati e cose così. Però negli anni, e parlo degli ultimi sette, otto, nove, dieci anni, è stato veramente il giocatore che, a livello difensivo, a livello di reparto e a livello tattico e di astuzia, si è preso il palcoscenico internazionale. Non me ne vengono in mente di più forti».
L'ADDIO? - «Sono contento che finisca con la Coppa Italia e gli auguro di sollevarla da capitano, proprio com’è capitato a me nel 2018, quando sono andato via la prima volta dalla Juve per trasferirmi al Psg, e nel 2021, quando l’ho vinta e poi ho accettato la proposta del Parma per vivere una nuova esperienza. Il Chiello merita una grande festa, perché è un grande uomo, un grande giocatore e un grande amico. Difficile trovare in una sola persona tutte le sue qualità umane e professionali. E io che gli sono stato compagno non posso che ringraziarlo per l’aiuto che non mi ha mai fatto mancare nei momenti difficili e per l’allegria che ha saputo trasmettere a tutto il gruppo».