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Più di mille frasi motivazionali, scritte magari da un social media manager. Più di battersi il petto dopo un gol. Più di baciare lo stemma

Quanto fatto da Gleison Bremer, pronto a firmare il rinnovo di contratto fino al 2029, alzando pure la cifra della clausola rescissoria, è un gesto molto importante. Estremamente chiaro. Certo, è anche il primo passo per un addio praticamente certo nella prossima stagione, però è soprattutto una forma (e una formula) di ringraziamento nei confronti del club che gli ha dato una dimensione differente. 

Non è la prima volta che Bremer si comporta così. L'aveva fatto pure alToro, dove aveva accettato il prolungamento proprio per uscire di scena con la felicità condivisa. Intanto la sua, accettando la corte di un top club; poi quella di Urbano Cairo, che a lungo aveva temuto di poterci ricavare poco, pochissimo. 

Bremer è uno di quei pochi giocatori che ragionano al plurale, è un calciatore in via d'estinzione, che non lo stacchi dalla maglia neanche quando ragiona per sé. Ed è una bella storia, la sua, pure se ha generato ulteriore frattura in una città divisa per indole e non per forza. 

Alla fine, certo, lo fa non per poco e nemmeno con l'ambizione di restare tutta la vita. Ma non era quella l'intenzione della Juventus. A Gleison è stato chiesto di mettere il club in una posizione più forte, sacrificando in parte il prospetto di mercato che sarebbe stato dalla prossima stagione. Non era scontato, quel sì. E' invece scontato pensare a cosa avrebbe fatto Federico Chiesa nella stessa posizione.