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Martin Bengtsson è un ex calciatore svedese, che nel 2004 fu acquistato dall'Inter non ancora maggiorenne ma che ben presto vide il suo sogno calcistico trasformarsi in un incubo. Oggi la sua storia è diventata un film ("Tigers", del regista Ronnie Sandahl) e lui si è raccontato a SportWeek. Questo un estratto delle parole di Bengtsson: "Avevo iniziato bene: segnavo e mi divertivo, ma dopo un po' sono iniziati i problemi. I dirigenti dell'Inter mi avevano promesso tante cose che poi non hanno mantenuto: un appartamento, invece dovevo vivere insieme agli altri ragazzi della Primavera. E soprattutto le lezioni di italiano, la possibilità di andare a scuola. La lingua è tutto, mi sentivo tagliato fuori dal gruppo e stavo sempre peggio. Poi ho avuto un piccolo infortunio e non sono potuto scendere in campo per due settimane. Lì ho avuto una crisi esistenziale: la mia identità era basata sul calcio e se non giocavo, chi ero? Alcuni ragazzi della mia squadra avevano fumato marijuana, così hanno iniziato a controllarci ancora di più: l'ambiente era pesante, duro. Sicuramente c'entrava anche la mia personalità: in quegli ambienti si aspettano ragazzi tutti uguali, ma non può essere così. Ero sempre più depresso e così ho tentato il suicidio. Quando mi sono svegliato in ospedale a Milano è stato bruttissimo. Sono tornato in Svezia e mi sono ripreso con l'aiuto di una psicologa e di altre persone. L'Inter mi ha cercato, ma non ho più voluto tornare. Moratti mi ha invitato a pranzo. Ha voluto capire cosa non è andato, quel era stato il ruolo dell'Inter in quello che mi è successo e anche cosa si può fare per migliorare il mondo del calcio. Abbiamo parlato di tutto, mi sembra un'ottima persona gentile e umile. Per me è stato un incontro importantissimo, mi ha fatto stare bene e soprattutto mi ha dato finalmente la possibilità di chiudere questa storia una volta per tutte".