E’ necessario avere sempre ben presente che dietro la figura manageriale del “rampollo” della parte umbertiana di casa Agnelli esiste e ha operato Antonio Giraudo, uno dei personaggi di spicco della Juventus che precipitò nel burrone della Serie B con tanto di vergogna a suo carico. Il manager torinese costretto a migrare in Inghilterra per sfuggire alla rete della Giustizia, rivestì il doppio ruolo di padrino battesimale e poi di mentore per il
giovane Andrea. Dal suo maestro l’attuale presidente ha appreso i fondamentali senza però possedere quelle qualità spesso mefistofeliche che consentono di agire nel mondo del grande business con disinvoltura. Anche per essere geni del male occorre una certa vocazione innata.
Ciò che, invece, Andrea Agnelli ha dimostrato di aver appreso minuziosamente dal suo maestro è l’esercizio dell’arroganza insieme con la presunzione dell’intoccabilità. Due prerogative che lo hanno portato a combinarne di tutti i colori. Dai rapporti perlomeno equivoci con una parte di quella tifoseria legata al malaffare alla vicenda Suarez, da tentato golpe con la creazione della Superlega all’attuale “caso” delle plusvalenze e del
presunto falso in bilancio. Questo soltanto per menzionare le punte affioranti di un iceberg dalle dimensioni ancora sconosciute. Dovrebbe bastare per spingere Andrea Agnelli a riflettere. Non soltanto lui, ma soprattutto che gli sta di sopra e forse si sta stancando di vedere in quale misura un gioiello di famiglia viene mortificato e addirittura sputtanato, per immagine e sostanza, a livello pubblico. Diciamo, naturalmente, di John Elkann che, tra l ‘altro, ieri sera era in tribuna dove è stato costretto ad assistere all’ennesima figuraccia di una squadra stordita al pari del suo presidente. In ogni caso, senza attendere di essere messo alla porta, dovrebbe essere lo stesso Agnelli a ritrovare un minimo di senso per la dignità e per il buon gusto tanto da dare le dimissioni. Del Piero e Platini attendono notizie.