IL MATCH ALLEGRISTA - Ecco, e la Juve ha scelto esattamente il metodo Max. Stretti, strettissimi quando la Lazio provava a toccare per sfruttare l'ampiezza e gli esterni; larghi, larghissimi quando c'era da attaccare, andando a pescare le serate giuste di Cuadrado da una parte e Kostic dall'altra. Proprio i quinti sono stati le armi di distruzione della massa difensiva laziale: e se il serbo è stato costante spina del fianco (e pure il più pericoloso nel primo tempo), il colombiano ha ricreato la dolce sensazione della superiorità numerica. Dribbling dopo l'altro, è sembrato veramente quello d'un tempo. Come se l'orgoglio collettivo avesse ingoiato quello privato.
IL MATCH D'ALLEGRI - Non era facile tornare allo Stadium mostrando subito compattezza e unità. Il rischio di perdersi in vuoti di classifica e identità era vivo, persino in una competizione differente e raggiungibile come la Coppa Italia. Che Max vuole. Enormemente. Perché da buon pragmatico sa benissimo quanto possa essere vitale ricostruire il morale su una vittoria collettiva, perché stare senza medaglie d'oro al collo, nella scorsa stagione, è stato comunque duro da digerire. E perché raggiungere la finale, ecco, spalancherebbe pure la porta sull'Europa. Non quella che conta, ma comunque Europa. Ha rimesso tutto a posto, Max, e subito. Pure con l'arrabbiatura finale: voleva tenerla sulla bandierina, sarebbe stata l'apoteosi del risultatismo davanti al vate del giochismo. E comunque, vale una base di ripartenza questa semifinale, o forse qualcosa in più. La velocità di crociera può partire da qui.