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Questa prima parte di stagione calcistica in fase di esaurimento ha provveduto ad abbattere alcuni luoghi comuni che si erano ben radicati nell’immaginario collettivo degli appassionati. Il più evidente e anche piuttosto clamoroso riguarda il tecnico portoghese Josè Mourinho il cui ridimensionamento professionale è testimoniato dall’andamento altalenante e un poco schizofrenico della Roma la cui piazza lo aveva accolto come il personaggio il quale avrebbe riportato la squadra giallorossa a vivere un campionato di estasi sthendaliana.

Il giorno in cui la società della capitale aveva annunciato l’arrivo dello ”special one” una grande fetta della tifoseria juventina si mostrò stizzita e ostile nei confronti della dirigenza bianconera perché, a suo avviso, per raddrizzare la zoppicante Juventus del dopo Sarri e Pirlo l’unico allenatore possibile e in grado di poterlo fare sarebbe stato proprio Mourinho con in sottordine Guardiola. La Juventus, invece, richiamò dall’Aventino Massimiliano Allegri ovvero un tecnico il quale, concettualmente, era l’opposto del suoi predecessori. E le perplessità aumentarono.

Ora, giunti quasi a metà percorso, i numeri della classifica che segnalano Juventus e Roma a braccetto testimoniano inequivocabilmente che entrambe le valutazioni non erano proprio così esatte perché non avevano tenuto conto di una variabile importante. Non solo le società e le squadre sviluppano i loro percorsi seguendo la cadenza dei cicli storici, ma gli stessi singoli personaggi sono naturalmente destinati allo stesso tipo di parabole e di mutamenti. Mourinho, alla resa dei conti, non è più il “deus ex machinae” del calcio internazionale esattamente come Allegri non è il “silenzioso vincente”.

La realtà di questo campionato, dunque, è caratterizzata da un netto ridimensionamento dei “miti” e, in parallelo, dalla rivalutazione di figure meno chiassose sotto il profilo della comunicazione ma al contempo puntuali e regolari come un motore diesel. Le performances dell’ Inter e del Milan confermano pienamente il teorema degli avvicendamenti. E forse, dunque, erano e sono proprio Inzaghi e Pioli gli autentici “number one”. Almeno sino a quando anche per loro la ruota non comincerà a girare nel verso contrario.