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A volte il gioco del "trova le differenze" è più difficile di quanto si possa pensare. Non è questo il caso. Per quanto le recenti dichiarazioni di Simone Inzaghi e Massimiliano Allegri siano state entrambe etichettate come il frutto di una "chiacchierata" - una con La Gazzetta dello Sport, l'altra con Il Corriere della Sera - hanno poco in comune, almeno nel tono e nel concetto di fondo che esprimono. Da una parte la certezza di poter cambiare marcia subito dopo la sosta, o almeno di volerlo fare con tutte le forze a disposizione, per rimettersi in carreggiata e in linea con gli obiettivi stagionali. Dall'altra la convinzione (o qualcosa di simile) che con i giocatori attuali, escludendo per forza di cose gli infortunati, non sia scontato poter dare il massimo, nemmeno contro avversarie sulla carta inferiori.

Desiderio di lottare e alibi, insomma, dalla parte rispettivamente di Inter e Juve. Proprio così, non viceversa come ci si aspetterebbe da una società che ha sempre fatto del "vincere è l'unica cosa che conta" il suo mantra. E la "colpa", se così si può dire, è proprio del tecnico livornese, che nella sua "chiacchierata" con Mario Sconcerti ha praticamente affossato i bianconeri, parlando apertamente di una squadra "virtuale" per le tante assenze, di giocatori in calo per ragioni anagrafiche (vedi Cuadrado) o destinati a fare le riserve (vedi Locatelli, ma non era il capitan futuro?), così come in generale di una rosa che "sbaglia passaggi e commette troppi errori tecnici" (vedi Paredes contro il Benfica). La personalità? Manca anche quella. 

E Inzaghi, tornando al confronto iniziale? Nulla di tutto ciò, perchè il tecnico nerazzurro, nel momento più difficile, non ha distrutto la sua squadra, ma anzi l'ha spinta e spronata con la certezza che gli ultimi passi falsi siano stati solo incidenti di percorso, da cui ripartire per trovare la strada giusta e uscire dalle difficoltà. Inter-Juve 1-0, e palla al centro. Che Allegri possa imparare dal collega, per la prossima "chiacchierata".