Marchionne, senza ombra di dubbio, per la Fiat-Fca è stato un amministratore delegato, oltreché presidente della Ferrari, tra i più determinanti e determinati degli ultimi vent’anni dopo l’uscita dall’azienda di Cesare Romiti al quale l’avvocato Gianni Agnelli aveva affidato il compito di traghettare il gruppo automobilistico torinese fuori dalle secche e verso un futuro pià sereno e produttivo. Dopo di lui toccò prima a Cantarella piazzarsi al timone, con risultanti accettabili, e successivamente a Fresco e a Morchio i quali non riuscirono ad arrestare il declino. Con l’ultimo di questi manager, poi, la Fiat rischiò addirittura di finire rottamata come un ferrovecchio nella mani delle Banche e soltanto l’intervento deciso di Susanna Agnelli, appena dopo la scomparsa di Umberto, evitò che quel progetto devastante per la Famiglia andasse in porto. Ad interim entrò in scena Luca Cordero di Montezemolo a fare da traghettatore per John Elkann il quale chiamò ,al suo fianco Marchionne.
In questi quasi quindici anni di gestione l’Ad uscente ha rivoltato il Gruppo come un pedalino abbandonando quasi del tutto la strada della finanza, inaugurata da Romiti e seguita dagli altri, tranne che da Cantarella, per rilanciare la filosofia pratica della produzione automobilistica. Scelte talvolta discutibili e impopolari. Come quella della delocalizzazione negli Usa, ma certamente coraggiose e rivoluzionarie che in ogni caso hanno prodotto vantaggi enormi sia alla Fiat che all’Fca, sia alla Ferrari che alla Divisione Motori Agricoli. Un po’ meno all’economia italiana e ai suoi lavoratori. Marchionne, dunque, è stato un dirigente-padrone assolutamente decisionista e per certi versi spietato in senso imprenditoriale adeguato ai tempi della globalizzazione. Il tutto con la puntuale benedizione di John Elkann. Anche se fino ad un certo punto.
Non è un mistero per nessuno che uno dei terreni di scontro tra i due “capitani” fosse rappresentato dalla Juventus. Il giovane Agnelli, presidente della Exor ovvero la cassaforte della Famiglia nella quale anche Marchionne aveva accesso, ha sempre rispettato la volontà del nonno Gianni operando a favore della società bianconera in quanto “gioiello” di casa da difendere e preservare ad ogni costo. Tant’è gli interventi di John per aiutare il cugino Andrea, presidente bianconero, sono stati molteplici e sostanziosi quando si rendevano indispensabili.
Marchionne, assolutamente indifferente al fenomeno del calcio, non ha mai nascosto il proprio fastidio allorchè si trattava di investire denaro nella società bianconera. Protestò per gli ottanta milioni destinati all’acquisizione di Higuain e non è dato sapere come ha reagito all’ingaggio di Ronaldo. Di contro tentò, a suo tempo, un’operazione che fece infuriare Elkann. Stipulò un contratto commerciale con l’Inter che avrebbe dovuto indossare maglie griffate “Alfa Romeo. Il presidente gli chiese se per caso fosse impazzito e stracciò quell’accordo che avrebbe certamente portato soldi in cassa ma che a livello di immagine sarebbe stato sputtanante.
Da oggi in avanti il problema Juventus non si porrà più nei termini pensati e ragionati da Marchionne e la società bianconera sarà più “libera”. La stessa Ferrari, la cui gestione verrà verosimilmente affidata ad un amico di Andrea Agnelli, già suo collaboratore alla Philip Morris in Inghilterra, rientrerà a far parte dell’ordine naturale delle cose di Famiglia Agnelli. Dopo un re, come per i Papi, se ne fa un altro. Evviva il nuovo Papa, evviva il nuovo re.