commenta
Per ciò che riporta il quotidiano romano Il Messaggero sul “ misterioso” caso Benatia la Rai nella figura dei suoi dirigenti si starebbe organizzando per chiedere i danni alla Juventus la quale, in precedenza e subito dopo il vergognoso episodio di razzismo via etere subito da un suo calciatore, aveva preteso scuse ufficiali. Se la rivelazione del giornale in questione è vera e sarà confermata dai fatti allora vuole dire che ci troviamo di fronte ad un autentico paradosso della serie mi prendo uno schiaffo in faccia e devo anche chiedere perdono a chi me lo ha dato. Semplicemente ridicolo.

Così come riescono a strappare un sorriso, amaro, i responsabili del servizio pubblico di Stato i quali con le loro evoluzioni acrobatiche rigettano ogni tipo di responsabilità rispetto all’accaduto e addossano la responsabilità a “oscuri terzi” che nulla hanno a che vedere con l’azienda. E qui, se mi permettete, il sorriso diventa uno sghignazzo alla Dario Fo. Tento di spiegare il perché e, si badi bene, non tanto per il buon nome del marocchino Benatia ma soprattutto per il rispetto delle centinaia di uomini e donne e bambini che ogni giorno muoiono annegati al largo delle coste magrebine in quel tratto di mare ormai più popolato da cadaveri che non da pesci.

Ho avuto modo, in tanti anni, di frequentare studi televisivi nazionali e internazionali di ogni tipo. Sia pubblici che commerciali. La prima e rigidissima regola che governa ogni tipo di trasmissione e i loro partecipanti è che quando si è “in onda” nessuno e ribadisco nessuno estraneo al lavoro in essere può trovarsi all’interno della postazione dove avviene la discussione o i collegamenti con l’esterno. La griffe della puntata incriminata è quella di “Calcio champagne”. Un titolo che alla Juventus, evidentemente, non porta buono ricordando un altro passato ben poco entusiasmante di pallone con le bollicine. Si potrebbe immaginare, allora, che qualcuno degli interessati alla messa in onda in linea con la trasmissione avesse un tasso alcoolico oltre la norma e abbia sbroccato verbalmente. Ma questo non lo voglio credere. Allora prendiamo per buona, seppure con le molle, la tesi della Rai la quale riversa la responsabilità del fattaccio sulle spalle di un fantomatico “service” legato alla stessa Juventus che faceva da ponte con lo studio di Roma da un pulmino all’interno dello Stadium. Ciascun lavoratore di quello stesso “service” dal momento in cui viene incaricato con tanto di contratto e di liberatoria scritti e firmati è di fatto “dipendente” dell’azienda che lo ha ingaggiato per tutto il tempo della trasmissione. Un poco ciò che accade per i giornali della carta stampata con i suoi collaboratori a gettone. I responsabili di ciò che viene scritto e, come in questo caso, detto sono oltre all’autore anche il direttore e la stessa testata. Dunque se anche quel vergognoso “marocchino di merda” fosse partito dal pulmino a pronunciare quella frase è stato un personaggio che in quel momento rappresentava la Rai fosse anche soltanto nelle vesti di tecnico del suono.

Resta una terza ipotesi, magari un po’ fantasiosa, che però provvederebbe a  liquidare la vicenda in perfetto stile “made in Italy” dove alla fine sono tutti santi immacolati. Quella “voce” dai contenuti nazifascisti non era umana ma apparteneva a un alieno di passaggio sul nostro pianeta. In quel caso, però, avrebbe dovuto dire “terrestre di merda” e non marocchino.