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Mettiamola così: esattamente come la Juventus, anche Milik dovrà infilare un passo dietro l'altro. Obiettivo: andare avanti. Solo avanti. E il gol, ecco, si fa così un acceleratore un po' di tutto: di condizione, di ambizione, di fiducia. Ne aveva palesemente bisogno, Arek. Anche se non l'ha cercato con continuità, con la cattiveria propria del centravanti, quella rete se la sentiva dentro e si è liberato in un attimo di un peso coltivato da mesi: da stella polare della squadra (con un Vlahovic acciaccato) rischia di diventare una stella cometa, cioè di illuminarsi solo in certe notti, quando tempo e Allegri glielo consentono. Per questo motivo stasera contava di più, un po' di più. Contava dimostrare di essere oltre una solida alternativa. Contava iniziare a scrivere la propria storia all'interno di questa stagione. 

DA FISCHI AD APPLAUSI - Il parallelo si fa facilmente. Primo tempo di Arek e della Juve: orribili. Secondo tempo: altra storia, un racconto molto più dolce. Però dai fischi agli applausi è un processo evolutivo, è un passaggio chiaro e netto. Di cui la squadra in particolare aveva profonda necessità. Non per mostrare chissà quale prova di forza - siamo all'inizio, è solo la sesta -, ma per dire che nelle difficoltà questo gruppo non è fragile, ha qualcosa. Che sia almeno il cuore, e non necessariamente una trasposizione di qualità, di gioco, di intraprendenza. Cioè: che nel fango sappia starci. Che sappia lottare. Ecco che allora servono tutti, pure i "titolari aggiunti". Con un aiuto dalle statistiche: nelle gare in casa con il Lecce, Arek è sempre andato in gol. E si è fatto nuovamente sentenza.