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Si chiama Cristiano Allegri, ha 19 anni. Segni particolari: juventino fino al midollo. E fin qui, non c'è niente di particolare in questo suo segno. Non fosse altro che Cristiano è non vedente fin dalla nascita. Una disabilità che, come anche in tanti altri casi simili a lui, in ogni caso non gli ha impedito di nascere e crescere con la Juve nel cuore, seguendola passo dopo passo in ogni partita casalinga fin da bambino. La Juve come passione e allo stesso modo come strumento per dire ed urlare al mondo che anche lui, sì, è esattamente come tutti gli altri. Non sempre un qualcosa di scontato da dire, anche e soprattuto da dirsi. Questa che ci racconta Cristiano è quindi solo una storia, la sua storia.

 

Allora Cristiano, dicci un po' chi sei...

“Mi chiamo Cristiano Allegri ma non ho nessun legame con Massimiliano Allegri, purtroppo (ride,ndr). Ho 19 anni e sono non vedente dalla nascita. La mia malattia si chiama amaurosi congenita di Leber, diciamo che distinguo soltanto luci e ombre. Sono quindi cieco al 100% con un residuo di luci e ombre. Negli anni ho imparato a conviverci, l'ho accettata questa disabilità. Cerco di fare tutto nel migliore dei modi e nelle mie possibilità provo ad essere un ragazzo normale. Da bambino è stato più difficile capire. Ma sono abbastanza felice di come vivo e come sono”.

 

In tutto questo, c'è la Juve. Che è parte integrante della tua vita. È corretto?

“Sì, in tutto questo c'è la Juve. Per me è stata sempre una risorsa, un amore, qualcosa di incondizionato. Non so perché mi ci sono affezionato, ma mi dà gioia e allegria. Quando entra in campo la Juve mi sento in Paradiso, è come se esistessero solo la curva e la squadra”.

 

Quindi vai in curva?

“Sì, sono abbonato e non potrei seguire la Juve in altri settori. Io sono in curva. Canto, sventolo bandiere. Per me questo significa dimenticare tutto, avere un pensiero fisso che mi accompagna per i novanta minuti. Durante la partita io urlo e penso: adesso sono qui per voi, canto per voi e voi dovete ripagare quello che noi facciamo”.

 

Come nasce questa passione?

“Sono tifoso della Juve da sempre, i primi ricordi li ho di quando avevo quattro anni e sono un po' sfocati. Ma l'ho sempre seguita, ormai vado allo stadio da quando ho nove anni e da quello Juve-Palermo che perdemmo 1-3 all'ex Comunale ho provato a non saltare mai nemmeno una partita”.

 

La Juve, esattamente cos'è per te?

Una parte dalla mia vita. Qualcosa che mi ha aiutato tantissimo. Quando sono in curva e canto, io mi sento parte della Juve. Perché quando vado allo stadio, c'è un qualcosa che viene da dentro e ed esce fuori, aiutandomi a sentirmi meno diverso. Anzi, uguale a tutti gli altri. Anzi, se mi è concessa una battuta, forse meglio degli altri, perché di questi tempi non tifare Juve deve essere proprio brutto...”

 

Sei in curva, canti e sventoli bandiere. Ma la partita coma la segui?

A casa mi baso su quello che dicono i commentatori, è ovviamente tutto più semplice ma anche meno coinvolgente. Allo stadio invece non lo so spiegare come faccio a capire che la Juve è in attacco o in difesa, ma io della partita non mi perdo nulla e non me la faccio raccontare. Io mi baso sulle voci, sui mugugni, sulle sensazioni...non so spiegare come, ma so esattamente cosa sta succedendo. Ovviamente non riconosco il giocatore in questione, ma so se la palla ce l'ha la Juve o la squadra avversaria, se siamo in attacco o in altre zone del campo. Poi anche il gesto tecnico lo percepisco, lo sento e capisco come da un piede all'altro cambi completamente il trattamento del pallone. Il sinistro di Dybala, ad esempio è qualcosa di diverso da tutto il resto”.

 

Qual è il ricordo più forte vissuto in curva?

“Ho avuto il piacere, l'onore di conoscere Del Piero di persona: lo incontrai all'Hotel Principi di Piemonte, venti minuti insieme a chiacchierare e lui nonostante fossi emozionato e molto teso, seppe mettermi a mio agio da subito. Il momento più forte è proprio legato a lui, quel giro di campo nel giorno della sua ultima partita, ho pianto e non mi vergogno a dirlo. È stata una grade perdita, poteva dare ancora tanto come giocatore e spero un giorno che possa rientrare in società e prendersi ogni settimana il tributo che merita sotto la curva esattamente come Pavel Nedved”.

 

Sono però giorni delicati per la curva juventina, come li vivi?

“Ci sono dinamiche che non conosco e forse non voglio nemmeno sapere. Però posso dire che vivere quei dieci minuti di silenzio contro il Porto è stato bruttissimo. Per me essere in curva e non poter far sentire la mia voce a sostegno della squadra mentre i tifosi avversari si fanno sentire in tutto lo stadio, è stata un'esperienza terribile”.

 

Vuoi lanciare un messaggio a chi come te convive con una disabilità?

“Sì. Dico a tutti che bisogna sempre credere di poter essere uguali agli altri. In questo senso appassionarsi allo sport, magari praticarlo può cambiarci la vita. In passato ho giocato a golf, mi son tolto anche tante soddisfazioni, ora per dire mi dedico anima e corpo alla scuola e alla Juve. Appassioniamoci a qualcosa e facciamola nostra, così ci sentiamo vivi e diversi da nessuno”.

 

Stasera sarai allo Stadium, chi vince?

“Spero la Juve. Sono emozionatissimo, conto i secondi che mi separano dal confronto con tanti campioni. Messi e Dybala insieme, sembra un sogno. Anche perché io amo la Juve ma sono appassionato di tutto il calcio, anche quello internazionale e ormai conosco a memoria la formazione titolare di tante squadre anche non italiane”.

 

Per salutarci, puoi raccontarci un gol che ricordi particolarmente?

“Certo, facciamo l'ultimo perché è il più facile da ricordare. Il 2-0 di Higuain al Chievo me lo sono immaginato proprio così: Dybala prende palla da fuori area e salta un uomo dopo l'altro, arriva al limite e vede la sovrapposizione di Lichtsteiner che crossa in mezzo per il Pipita, che da due passi la controlla e batte il portiere...Sì, me lo sono immaginato proprio così...”